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N 8 REPERTI MEDIEVALI E RINASCIMENTALI

I reperti medievali conservati nel Labirinto di Adriano confermano la secolare tradizione che la ceramica ha avuto in Orvieto a partire dal XIII sec. proseguendo ininterrottamente sino al XVII sec., incontrando il favore di grandi nomi legati alla “materia ceramica” grazie alla presenza di fornaci dotate di ampio potere calorico con caratteristiche refrattarie uniche dovute al tufo ignimbritico. Due di esse, rinvenute nel quartiere medievale di Orvieto negli anni ’80 del XX sec., mostrano tutte le caratteristiche costruttive descritte da Cipriano Piccolpasso nel celebre: “Tre libri sull’arte del vasaio…”. Recenti studi testimoniano tuttavia la presenza di fornaci e vasai non esclusivamente nel quartiere medievale, ma dislocati nei diversi ambiti cittadini a incontrare il gusto di raffinate committenze. Al 1200 risale un boccale con ampio collo svasato insieme a un altro piccolo boccale, entrambi senza rivestimento, insieme invece ad un boccale a vetrina piombifera, ampiamente espanso nel ventre, con decorazione floreale ad ampi petali lobati e frastagliati. Dal XIV sec. Orvieto sposa le innovazioni chimiche concepite dal “genio” arabo, diffuse dalla Sicilia grazie alla politica espansionistica commerciale del sovrano “illuminato” Federico II. La nuova tecnica di rivestimento del corpo ceramico allo stato di “biscotto” argilloso, mediante un rivestimento impregnante in immersione stannifera, inaugurerà l’epopea della maiolica arcaica. Al di sopra del rivestimento stannifero bianco, diverse tonalità di colore ottenute dalla lavorazione degli ossidi del rame, dello zolfo, del cobalto e della manganese, davano ampio sfogo alla fantasia dei vasai nell’ emersione artistica delle proprie officine. Orvieto si distingue nella produzione del centro Italia con forme canoniche e poco variabili, e con un repertorio decorativo ricco e variegato, inspirato agli elementi vegetali e floreali prevalenti su quelli umani e animali; anche Il geometrismo decorativo campeggia sui diversi contenitori, quasi a compensare gli spazi lasciati vuoti dalla decorazione o quelli definenti le aree metopali dell’apparato decorativo. La fabbrica del duomo, attiva in città dal 1290, inspirerà e sarà inspirata dai vasai, i quali troveranno soddisfazione dai “bisogni” espressi dai costruttori della cattedrale.
Tra le principali forme prevalgono i boccali e gli ampi catini, come i piatti con larga tesa e le tazze con orlo polilobato. Tra le decorazioni fitomorfe prevale il giglio nella sua continua evoluzione secolare che lo vede stilizzarsi o assumere ampie “carnosità” sia sulle parti più esposte del vaso che sui reparti secondari meno visibili; per le decorazioni zoomorfe primeggiano gli uccelli ed i pesci con le parti anatomiche finemente decorate in ogni superficie, mentre mancano quelle umane solitamente presenti su ampi catini. Le geometrie ricorrono invece nel panorama tipico cittadino, con: embrici, losanghe, tratti serpeggianti, linee parallele definenti spazi decorativi, rombi alternati, e retini neri a campitura degli spazi vuoti.
Per la ceramica rinascimentale (XVI e XVII sec.) sono attestati ad Orvieto una decina di vasai, per lo più forestieri, con indicazione sui documenti riguardo al luogo di provenienza e produzione. I principali centri erano localizzati nel quartiere medievale in via della Cava, altri nei pressi di Piazza del Popolo, altri nella regione di S. Maria e di S. Pace. Essi erano soliti acquistare dai mulini i resti dei noccioli di oliva macinati per aumentare il potere calorico delle proprie fornaci. Molti contribuirono alle forniture per la fabbrica della cattedrale producendo ceramiche smaltate e colorate per i mosaici della facciata, venendo spesso accorpati nello Statuto delle Arti e dei Mestieri con i Vetrari.
La presenza di forestieri è indice per questi due secoli di svariati stilemi decorativi che trovano riscontro in produzioni vicine: Bagnoregio, Deruta, Amelia, Marsciano, Cortona, Firenze. Alcuni, tra piatti e catini, sono decorati con motivi monocromatici a girandola, altri con filettature e fasce concentriche, alcuni con catene floreali a rombi e cerchi intrecciati o petali stilizzati. Presenti in misura predominante le produzioni di piatti e catini alto laziali con i fondi decorati con girandola stilizzata e gli orli campiti con foglie di prezzemolo entro archetti disposti a festone, o girandole stilizzate contornate da monticelli e sulla tesa fasce con decorazione “alla porcellana”. Non mancano i piatti “da pompa” derutesi dipinti con la tecnica del “lustro”, di cui un esemplare frammentario della serie dei soggetti amorosi è provvisto di ampia tesa suddivisa in scomparti decorati con embricazioni e foglie di acanto; nel cavetto centrale vi era certamente una figura femminile contornata da mazzi di margherite, dove svetta un cartiglio nastriforme con iscrizione: [LA] MADAL EN[A BELLA]; il soggetto raffigurato dal ceramista è una “bella donna”, i cui tratti sono realizzati con uno stile che si ispira alla pittura umbra del Pinturicchio che esercitò una notevole influenza sui ceramisti di Deruta. Gli scomparti sono divisi da bande strette, puntinate e separate da tratteggi orizzontali; la tesa e il cavetto sono separati da una sezione embricata. Un altro frammento degno di nota è pertinente a un piatto da pompa derutese decorato a “lustro” con iridescenza rosso rubino, uscito probabilmente dalla bottega di Mastro Giorgio Andreoli e dei fratelli Giovanni e Salimbene o dell’erede M. Cencio figlio di Mastro Giorgio.
Tra i reperti spicca la quantità e qualità della produzione derutese che i privati di Orvieto acquistavano con tassazione agevolata fin dal XV sec. Un piccolo piatto con breve tesa e cavetto pronunciato, presenta sul recto una triplice filettatura con motivi cordonati variati, contenente un rompo con la lettera “P” coronata; sulla tesa “raffaellesche” e cornucopie “alla Urbinate” in blu, giallo e arancio, mentre sul verso è una decorazione in stile “petal-black family”, con duplici lettere “A” o “V” paraffate dell’autore. Un’ ulteriore produzione derutese è percepibile in un piatto da pompa con il fondo in blu cobalto, racemi e fiori in lustro giallo oro e punti di luce in caolino bianco di cui altri esemplari della stessa bottega sono conservati a Deruta, al Victoria Albert Museum di Londra, al Louvre di Parigi e all’Hermitage di S. Pietroburgo.


Riferimenti bibliografici:

Busti G., Cocchi F., Museo Regionale della Ceramica di Deruta, Ceramiche policrome, a lustro e terrecotte di Deruta dei secoli XV e XVI, in Bojani G. C. (a cura di), Catalogo Regionale dei Beni Culturali dell’Umbria, Electa Editori Umbri Associati, 1999.

Piccolpasso C. Durantino Cav., Raffaele De Minicis, Geremia Delsette, Tre libri dell’arte del vasajio, nei quali si tratta non solo la…, 1857, Roma.

Rackham B., A New Chapter in the History of Italian Majolica, in “The Burlington Magazine”, I, 1915, pp. 28-35.

Riccetti L., Vascellari orvietani,i documenti, secoli XIII - XIV, in Caponeri Rossi M. (a cura di), Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, Perugia 2019, pp. 1-415.

Riccetti L., J. Pierpont Morgan e Alexandre Imbert. La scoperta e la fortuna della ceramica medievale orvietana intorno al 1909, in (a cura di) Riccetti L., Tra collezionismo e tutela. Connoisseur, antiquari e la ceramica medievale orvietana, Perugia-Firenze, 2010.

Satolli A., I Vascellari, Rivista di storia della tradizione ceramica, numero speciale, Le vecchie collezioni di ceramica orvietana medievale, Ente promotore Comune di Orvieto, Roma, 1997, Edizioni Kappa, pp. 1-54.

Satolli A., 1908-1910: Documentazione non riciclata sul programmatico saccheggio delle maioliche antiche orvietane.1, in BISAO (Bollettino Istituto Storico Artistico Orvietano), LXV - LXVI, 2009 - 2010, pp. 39-120.

Travaglini A., Il verde, il bruno, e il “prestigio” della ceramica orvietana nell’età medievale, in Giuseppe M. Della Fina e Corrado Fratini (a cura di), Storia di Orvieto, II – Medioevo, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, dicembre 2007, pp. 561 – 603.



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