Vai alla Header Bar Vai al Contentuo Vai alla Footer Bar
Logo

N 5 CISTERNE ETRUSCHE

CISTERNE ETRUSCHE

I sistemi di conservazione dell’acqua in epoca etrusca rappresentano l’evoluzione idraulica raggiunta da questo straordinario popolo in quattro secoli di vita su di un pianoro tufaceo dove il fondamentale principio della difesa cozzava inevitabilmente con la conservazione del prezioso liquido entro una materia di base permeabile come quella tufacea. Le prime conserve attestate ad Orvieto avevano la conformazione di grandi cilindri ovali scavati nel masso le cui pareti di tufo lesionate venivano rivestite di argilla impermeabile nei punti in cui erano evidenti le fratture, lasciando libera quindi l’intera superficie tufacea la quale, una volta aver assorbito le acque, andava a compensazione trattenendole per un certo lasso di tempo. L’evoluzione successiva, durante il VI sec. a.C., fu di rivestire completamente la vasca con uno spesso strato di argille degassate e compattate, nel quale venivano ammorzate bozze informi di travertino, frazionate da ulteriori blocchi di tufo parallelepipedi predisposti in punti equidistanti a formare assise sovrapposte a tessitura regolare. L’acqua in questo modo penetrava nelle porosità del travertino e trovando l’argilla, era trattenuta e conservata; il travertino inoltre impediva all’acqua di contaminarsi con la melmosità dell’argilla. La vèra della cisterna era realizzata con un tamburo circonferenziale formato da blocchi di tufo quadrangolari, su cui poggiavano una serie di mensole aggettanti e un ulteriore serie di lastre rettangolari che costituiscono il vero sistema di chiusura. Le lastre, in uno specifico punto decentrato rispetto all’azimut perpendicolare della vasca, disegnano il foro di apertura su cui è impostata la vèra, dotata di coppi contrapposti a formare il condotto di adduzione. Le mensole aggettanti sono anch’esse dotate di fori quadrangolari per la reimmissione delle acque dall’esterno, come anche di altri condotti presenti sulla vèra la cui fine realizzazione da monoliti tufacei rappresenta la straordinaria arte plastica raggiunta dagli scalpellini etruschi nella lavorazione del prezioso materiale vulcanico. Durante il V sec. a.C. la cisterna verrà ulteriormente intonacata a causa del deperimento nel rivestimento argilloso interno, e verrà dotata di una nuova tecnologia rappresentata da un materiale impermeabilizzante che avrà lunga vita nei secoli avvenire. Tale materiale prevedeva una mistura di calce, sabbia, pozzolana e chamotte di laterizi e ceramica finemente triturata, chiamata: opus signinum, o banalmente: “cocciopesto”; la vasca, completamente intonacata, conserva ancora il livello raggiunto dalle acque. Tale tipologia di cisterna, insieme ad altre quattro presenti ad Orvieto ed una a Vulci, costituiscono un unicum in tutta Etruria e questa conservata nel Labirinto di Adriano è tra le quattro, quella che meglio esprime l’estro artistico di un popolo che si formalizza anche in opere di primaria necessità.

Riferimenti bibliografici:

Bizzarri C., Orvieto ipogea: primo inquadramento tipologico delle principali emergenze storico-archeologiche, in Cavallo B. (a cura di) , Orvieto Ipogea, ovvero della proprietà del sottosuolo, studi giuridici per il consolidamento delle cavità, Regione Umbria, Assessorato dell’Area Ambientale e Infrastrutture, 1995, Perugia, pp. 49-79.

Scarponi A. S., Prima interpretazione di rinvenimenti di epoca etrusca e tardo ellenistica in territorio vulcente . Farnese (Viterbo), loc. Chiusa del Belli, in Fasti On Line Folder 2014-323, pp. 1-16.

Stopponi S., La cisterna di San Domenico ad Orvieto, in Bergamini M. (a cura di), Gli Etruschi Maestri di Idraulica, Le opere di regolazione per la difesa del suolo, - Electa 1991, pp. 209-216.

Lasciaci una Recensione

Ti stai trovando bene?

4.94 su 5 - 35 recensioni
Recensione inviata. Grazie!