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IL VELENO DI SESTO CALENDE

La storia del Veleno, l'aperitivo “dei sestesi” che il suo ideatore non assaggiò mai
Con il riconoscimento De.Co. diventa un prodotto tipico a tutti gli effetti. A inventarlo fu Alberto Olearo, il padre degli attuali gestori, che lo affinò con i pareri degli assaggiatori.
È una storia affascinante, fatta di passione e di ricerca minuziosa della qualità, quella che contraddistingue il Veleno di Sesto Calende, una delle produzioni caratteristiche sviluppate in riva al Ticino che questa mattina hanno ricevuto il riconoscimento di Denominazione Comunale di Origine. Una storia che riguarda l’attività di una bottega centenaria, le tradizioni passate, una ricetta rigorosamente segreta e in un certo senso tutti i sestesi che, almeno una volta, hanno fatto tappa nei locali dell’enoteca Holly Drink gestita della famiglia Olearo.
Il “Veleno” è un aperitivo ideato da Alberto, il padre di Fabio e Massimo, attuali gestori e nel tempo costantemente migliorato grazie anche a impressioni e consigli degli assaggiatori. La “leggenda” narra infatti che Alberto non l’abbia mai assaggiato ma abbia lavorato “di aggiustamento” grazie ai pareri raccolti di volta in volta. Oggi il Veleno di Sesto Calende oltre ad essere un prodotto molto amato è anche un ingrediente per dei cocktail originali, dal carattere tipicamente locale.
Ma come è nato questo liquore? La storia è ben raccontata dai nipoti dell’ideatore, la riportiamo qui:
Abbiamo sempre saputo che la storia del veleno è sempre stata intrecciata a quella dei Sestesi, doc o di adozione che siano, ma dopo averla sentita raccontare si scopre che questa è dentro ciascuno di noi più di quanto si possa immaginare. Il veleno è quasi un aspetto scontato della vita sestese, un po’ passo obbligato del coming of age un po’ routine dell’aperitivo, ma conoscere meglio la sua genesi aiutano a comprendere meglio il fenomeno ed il suo legame con Sesto.
Si deve tornare molto indietro, ai tempi di Nonna Piera, allora il vino si vendeva solo nelle bottiglie e lo si portava direttamente nelle case dei Sestesi. Allora si passava di tanto in tanto a saldare il conto e la tradizione, quando si veniva a pagare, era quella di offrire un bicchiere di vino chinato come ringraziamento.
Salto in avanti e si arriva a papà Alberto ed agli anni 50 di boom economico che non ha ancora fatto perdere i legami contadini residui alla zona, c’è voglia di provare qualcosa di nuovo e si realizza il primo intruglio da far provare al posto del vino chinato. Il primo che lo prova risponde che “le bun!”, “le bun” anche per il secondo ed il terzo e così si comincia a ringraziare con un bicchiere della nuova mistura anziché con il vino chinato. La tradizione di Via Zutti è quindi cambiata, ma non siamo ancora alla mescita.
Qui però si inserisce il legame con l’agricoltura. Nella piazzetta il Mercoledì c’era il mercato di polli e pulcini, (confermo, mi ricordo che ci venivo con il nonno a prendere i pulcini e gli attrezzi da pollaio), la gente veniva, prendeva quel che gli serviva, ed a un certo punto anche se non era il fine mese del saldo del conto ha cominciato ad entrare a chiedere se non c’era per caso un bicchierino di quello che gli era stato offerto l’ultima volta che erano entrati a pagare. Bevi un Mercoledì, bevi un altro Mercoledì, a poco a poco dal Lunedì al Sabato la tradizione della vendita a bicchiere si era creata.
Bella storia, vero? Aspettate perché la chicca degna di Guareschi deve ancora arrivare. Si deve sapere che l’Alberto il veleno non l’ha mai bevuto, anzi non l’ha mai nemmeno assaggiato, ad ogni persona a cui lo faceva assaggiare chiedeva un parere e di questo parere ne teneva conto. Troppo dolce, troppo amaro, troppo aromatico, poco secco, ognuno diceva la sua e piano piano la ricetta veniva affinata sino a che non è arrivata a quella definitiva che dura sino ad oggi. Insomma il veleno può a tutti gli effetti dirsi non solo il Liquore di tutti i Sestesi, ma il liquore fatto da tutti i Sestesi, dato che ognuno di loro ha un avo (se non astemio) che ha contribuito alla sua realizzazione.

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